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Il libro propone un percorso nell'opera di Milo De Angelis, dall'esordio di Somiglianze (1976) sino alle sue ultime raccolte, al fine di mettere in evidenza le caratteristiche di un autore che intende la scrittura in versi come radicale e tragica esperienza del reale, potenza originaria e dionisiaca. Segnata da una frontale contestazione del disincanto del moderno, così come da una declinazione "apocalittica" del sublime, la poesia deangelisiana cerca l'assoluto nell'istante lirico, approfondendo la postura verticale di un soggetto per il quale la coscienza del negativo e della finitudine umana rigettano non tanto la visione ottimistica dell'esistenza, quanto il depotenziamento passivo, o pessimistico, del pathos. A partire da questi concetti, il libro punta a cogliere e interrogare i nodi di una delle più compiute e perentorie riproposizioni del lirico nella letteratura europea dagli anni Settanta a oggi, mostrandoci il profilo di un autore che fa della scrittura una questione di vita o di morte, una "chiamata in giudizio" a cui non è dato sottrarsi.